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Parigi chiama Firenze. Aspettando #COP21, riflessioni sul clima e dintorni

Sabato 24 ottobre a partire dalle ore 14.30, a Novomodo si terrà l’incontro “Parigi chiama Firenze. Aspettando COP21, riflessioni sul clima e dintorni”. Walter Ganapini, ecologista ...

Walter Ganapini
Walter Ganapini
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Sabato 24 ottobre a partire dalle ore 14.30, a Novomodo si terrà l’incontro “Parigi chiama Firenze. Aspettando COP21, riflessioni sul clima e dintorni”. Walter Ganapini, ecologista e co-fondatore di Greenpeace Italia oltre che autore di questo post, discuterà di cambiamenti climatici con Ugo Biggeri (Banca Etica), Stefano Ciafani (Legambiente) e Matteo Mascia (Fondazione Lanza).

Ci avviciniamo alla COP21 di Parigi e appaiono sempre più strette le relazioni tra finanza e ambiente.
Già in vista della COP16 di Cancun erano intervenuti 250 investitori internazionali che gestivano risorse per più di 15 trilioni di dollari (11mila miliardi di Euro), chiedendo che si definissero forti politiche di contrasto al “Climate Change”, per evitarne le conseguenze disastrose sul piano economico, oltreché su quello ambientale. Stimavano già allora che esso potesse avere un impatto sul Pil mondiale pari a una riduzione del 20% entro il 2050. Ciò che gli investitori chiedevano era che si sostenessero l’economia “green” e le tecnologie “low carbon”, ritenute enorme potenziale nel percorso verso un sistema a basse emissioni che permetta la sostenibilità del pianeta nel lungo termine.
Alla crisi finanziaria già si accompagnava il primo mutamento ambientale globale e irreversibile, della cui pericolosità la percezione cresceva a livello sociale, mentre le agende istituzionali si occupavano – e si occupano ancora, soprattutto in Italia – di generiche rincorse ad improbabili crescite, senza l’adeguata attenzione alla qualità ambientale dei processi produttivi,prodotti – beni e servizi – e ai territori come cruciale fattore competitivo sui mercati globali .

La compagnia di assicurazioni MunichRe da anni fornisce dati circa i costi economici dei disastri ambientali, universo nel quale i “disastri climatici hanno incrementato la loro frequenza oltre che la loro incidenza sui danni totali”.
Secondo i rapporti MunichRe “Dal 1980 ad oggi il numero di inondazioni gravi è triplicato,quello delle tempeste raddoppiato. E’ molto improbabile che questo non abbia legami con i cambiamenti climatici”: chiunque e a qualunque titolo si occupi di cambiamento climatico nota l’aumento progressivo nel tempo dei fenomeni meteoclimatici estremi ad esso collegati, logica conseguenza di un trend di emissioni di gas serra in continua crescita.
La Banca Mondiale ha assunto solo recentemente questo elemento come essenziale. Solerte come è sempre stata nel concedere credito al settore estrattivo delle fonti energetiche fossili, prime nemiche del clima, dal carbone al petrolio e al gas naturale, garantendo sostegno prioritario a grandi progetti infrastrutturali destinati a produrre energia da rivendere sui mercati internazionali anziché a dare risposta ai bisogni energetici delle popolazioni dei paesi dove vengono costruiti gasdotti ed oleodotti. Nel 2010 circa 6,6 miliardi di dollari sono stati trasferiti dalla Banca Mondiale verso progetti per quei combustibili fossili (+116% rispetto all’anno precedente). Ad esempio alla grande centrale a carbone di Medupi, in Sudafrica, la terza più grande al mondo e per di più localizzata in uno dei Paesi col più alto potenziale per gli investimenti nelle energie rinnovabili.

Oggi, in vista della COP21 di Parigi, ulteriori segnali vengono da importanti istituzioni finanziarie: le sei maggiori banche statunitensi hanno accolto la pressione di Obama sintetizzata nel suo slogan ‘Act on Climate’, rafforzata dall’enorme portata morale e culturale dell’Enciclica ‘Laudato sì’ donata a tutti da Papa Francesco, chiedendo “a strong global climate agreement” e “policies that recognize the cost of Carbon”.
JP Morgan, Chase Bank, Bank of America Corp., Wells Fargo, Citibank, banche commerciali con assets per $6.5 trilioni secondo la Federal Reserve, assieme a Goldman Sachs e Morgan Stanley, con $1.1 trilioni investiti in ‘Mergers&Acquisitions’, dichiarano di essere pronte a rendere disponibili risorse significative per finanziare soluzioni del problema climatico .
Ancora dichiarano,“come grandi istituzioni finanziarie, che lavorano a livello globale, abbiamo l’opportunità economica di sostenere lo sviluppo di un’economia sostenibile e low carbon e la capacità di intervenire per mitigare e gestire i rischi legati al fattore clima”

Altrettanto importanti risultano le pressioni di importanti attori sociali, fino agli studenti di università statunitensi, a partire da Stanford, che chiedono ai Fondi di investimento di operare ‘Divestment’ dalle fonti fossili, in primis il carbone.

Sul versante dei ‘colossi’ elettrici, il gruppo francese EdF ha da poco emesso un ‘green bond’ da 1,25 miliardi di dollari, emissione più importante sin qui da parte di un’impresa industriale, con destinazione esclusiva a progetti per la sostenibilità climatica o ambientale.
Il green bond di Edf (Électricité de France), emesso nell’ambito di un’emissione da 4,75 miliardi di dollari complessivi, è un titolo decennale che paga una cedola del 3,62%, destinando la cifra raccolta sul mercato allo sviluppo di energie rinnovabili.
L’emissione di Edf riporta l’attenzione su questa classe d’investimenti utilizzata dagli emittenti: nel 2014 venne toccata la cifra record di 36,6 miliardi di dollari, lontano comunque dal target dei 100 miliardi previsti da Climate Bonds Initiative, associazione che promuove simili strumenti presso gli investitori istituzionali.
La ragione del calo di interesse da parte degli emittenti starebbe nella difficoltà di ottenere un vantaggio in termini di prezzi rispetto a un bond tradizionale, oltre ai costi da sostenere, tra cui la certificazione e il monitoraggio continuo e il reporting del progetto.
C’è comunque spazio per la crescita di questi prodotti, a cui sono interessati assicurazioni e fondi che sono tenuti ad impiegare parte degli investimenti in strumenti sociali.

Sul versante degli Stati, oltre alle parole di Obama, ai passi avanti del Governo Cinese, al forte impegno di Segoléne Royal in vista del summit parigino, va certamente registrato come molto positivo quanto annunciato dal premier svedese Löfven davanti all’Assemblea generale dell’Onu:”I bambini devono crescere in un ambiente sano, privo di tossine. Combattere le sostanze nocive e far pagare chi inquina è alla base del nostro modo di fare politica” .
La Svezia intende ridurre il ricorso all’energia fossile azzerando l’apporto del carbone entro i prossimi 20 anni per diventare, insieme al Costarica, uno dei primi paesi “verdi” al mondo, proseguendo la rivoluzione energetica che già oggi vede il 66% dell’energia generata da fonti rinnovabili, tendenza condivisa da tutti i paesi nordici.
In una normale giornata di vento la Danimarca produce il 140% del proprio fabbisogno energetico grazie alle pale eoliche,esportando l’eccedenza in Germania,Svezia e Norvegia.
L’Islanda già da tempo investe in energia idroelettrica e geotermica arrivando a coprire quasi il 100% del proprio fabbisogno.
La Svezia ha tracciato la strada iscrivendo a bilancio 4,5 miliardi di corone (484 milioni di Euro) per infrastrutture verdi,dai pannelli solari alle turbine a vento, dal trasporto pubblico ecologico alle reti energetiche più “intelligenti”.
Altri 50 milioni di corone saranno spesi in ricerca e sviluppo per lo stoccaggio dell’elettricità e un miliardo sarà investito per migliorare gli edifici residenziali e renderli più efficienti.
Fuori dai confini svedesi, poi, saranno spesi 500 milioni di corone l’anno per realizzare infrastrutture verdi nei Paesi in via di sviluppo con l’obiettivo di dare “un segnale importante” al mondo occidentale in vista della conferenza Onu sui cambiamenti climatici (COP21,appunto) che si terrà a dicembre a Parigi.