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Malta, l’isola del tesoro fiscale che priva l’Europa di miliardi di euro

C'è stata la Svizzera, Panama, l'Irlanda e il Lussemburgo. Ora tocca a Malta vedere esposte alla luce del sole le proprie pratiche fiscali sleali.

C’è stata la Svizzera, Panama, l’Irlanda e il Lussemburgo. Ora tocca a Malta vedere esposte alla luce del sole le proprie pratiche fiscali sleali. La piccola isola del mediterraneo ha l’onore di detenere, fino al 30 giugno, la presidenza di turno dell’Unione europea per la prima volta nella sua storia. Eppure questo paradiso fiscale misconosciuto priva i paesi stranieri, in particolare i suoi partner europei, di almeno due miliardi di euro di entrate fiscali ogni anno.

Ora grazie a oltre 150 mila documenti confidenziali l’European Investigative Collaborations (EIC), una rete internazionale composta da 13 media, ha potuto investigare sulle società offshore dell’isola, fra ottimizzazione e evasione fiscale, ma anche corruzione e riciclaggio.
Malta Files sono composti da due insiemi di documenti. Il primo, ottenuto dal settimanale tedesco Der Spiegel, comprende decine di migliaia di documenti interni (mail, contratti, estratti conto…) di una società fiduciaria maltese specializzata nella registrazione e amministrazione di società. Il secondo, ottenuto dal sito d’informazione rumeno The Black Sea, è un foglio Excel che contiene l’insieme dei dati del registro di commercio maltese, vale a dire 53.247 società al 20 settembre 2016.

Se il registro di commercio maltese è pubblico, resta tuttavia poco trasparente, dato che è impossibile farvi ricerche per nome. Grazie al foglio elettronico dei Malta Files i giornalisti dell’EIC hanno potuto analizzare minuziosamente la lista delle 77.818 persone e imprese che sono direttrici o azioniste di società maltesi.

Ci si trovano i nomi di grandi capitani d’industria, multinazionali (Bouygues, Total, BASF, Ikea…), banche (Reyl, JP Morgan), un attore famoso, i fondatori di una grande casa di lusso, la famiglia di un importante capo di stato, mafiosi in cerca di discrezione, la figlia del presidente angolano Isabella dos Santos, o ancora la compagnia petrolifera statale dell’Azerbaigian. Senza dimenticare una folla eteroclita di anonimi, dalla ballerina di tango ai titolari di PMI, passando per allevatori di cavalli e consulenti.

Ovviamente, non tutti sono dei frodatori. Alcuni appaiono nella lista perché vivono a Malta. Altri fanno affari o ottimizzano la loro fiscalità sull’isola legalmente. Ma quelli che hanno delle cose da nascondere al fisco devono preoccuparsi.

Il 10 maggio scorso, Norbert Walter-Borjans, ministro delle finanze del Land tedesco Renania-de-Nord-Westfalia, ha annunciato di essere entrato in possesso, tramite una fonte anonima, di una lista di società. Si tratta della stessa studiata dall’EIC. Il ministro ha precisato che avrebbe trasmesso i dati che non riguardavano la Germania alle autorità dei paesi interessati.

Malta è la «Panama d’Europa», ha accusato Norbert Walter-Borjans durante una conferenza stampa: «I dati mostrano come aziende e individui utilizzano questa isola del Mediterraneo per sfuggire in massa alle imposte. È fatto in parte grazie a trucchi legali, ma anche spesso attraverso delle società offshore il cui solo obiettivo è creare sistemi di evasione fiscale».

Il ministro delle finanze maltese Edward Scicluna, in risposta, ha accusato Walter-Borjans di aver gonfiato l’importanza del documento per ragioni “politiche”. Come fanno tutti gli esponenti politici maltesi da anni, ha giurato con la mano sul cuore che l’isola «non è un paradiso fiscale».

Tuttavia la realtà è crudele. In una classifica dei paesi europei le cui pratiche fiscali in materia d’imposizione delle aziende sono le più nocive, realizzata lo scorso anno da Oxfam, Malta si trova al quarto posto. Il paese è meno dannoso dei Paesi Bassi e Cipro, ma peggio del Lussemburgo! Questi paesi «privano gli altri Stati di entrate fiscali di cui hanno bisogno per finanziare servizi pubblici vitali, come la salute e l’educazione», lamentava l’esperta fiscale di Oxfam Susana Ruiz.
Un’inchiesta di Malta Today, pubblicata a settembre scorso, rivela che Malta ha rimborsato 2 miliardi di euro di imposte nel 2015 alle società detenute da stranieri. La situazione non smette di peggiorare, dato che questo regalo fiscale era dieci volte inferiore nel 2006. In dieci anni Malta ha così privato gli altri paesi di 8,2 miliardi di euro di entrate fiscali! Questa diagnosi è confermata da un rapporto del gruppo degli eurodeputati Verdi, pubblicato nello scorso gennaio, quando Malta ha preso la presidenza dell’unione europea.

Malta, in effetti, ha il tasso d’imposta sui profitti delle società più basso d’Europa. Il tasso ufficiale è del 35%, ma quando una società detenuta da stranieri distribuisce gli utili ai suoi azionisti, il fisco le rimborsa l’85% delle imposte! Quindi il tasso reale scende ad appena il 5% per le società offshore, molto avanti alla Bulgaria (10%) e l’Irlanda (12,5%).

Da qui la moltiplicazione delle società “cassette della posta”, il cui solo scopo è raccogliere soldi. L’isola è diventata l’eldorado per le banche e 581 fondi di investimento, i cui attivi rappresentano 789% del PIL maltese.

Malta propone numerose altre nicchie fiscali: entrate da marchi e brevetti, assicurazioni, giochi e scommesse online, aviazione, navi. Quest’ultima agevolazione è particolarmente scandalosa perché è tagliata su misura dei super ricchi capaci di permettersi yacht: grazie al sistema maltese possono sfuggire all’IVA e ridurre il costo delle spese sociali dell’equipaggio, anche quando le loro imbarcazioni sono localizzate negli altri paesi d’Europa.

«Malta non è solo un paradiso fiscale», si preoccupa l’eurodeputato tedesco Fabio de Masi, «l’esperienza mostra che questo generoso sistema di crediti d’imposta sui dividendi è uno strumento perfetto per riciclare denaro delle organizzazioni criminali». Come dimostrato dai Malta Files, che tuttavia coprono solo una trentina di società fiduciarie di tutta l’isola.

Questi fornitori di consigli fiscali e di società chiavi in mano non hanno alcuno scrupolo a mantenere l’opacità. È sufficiente pagare alcune migliaia di euro all’anno per avere dei prestanomi che fanno funzione di direttori e azionisti. I clienti più prudenti possono aggiungere uno strato di protezione supplementare creando un trust maltese.

Numerose società fiduciarie sono del resto state infangate dai Panama Papers per aver fornito sistemi offshore ai loro clienti nel celebre paradiso fiscale del centro America. «Non è illegale dare consigli» ha risposto senza ridere il ministro delle finanze maltesi, Edward Scicluna, a una delegazione di deputati europei del comitato PANA, creato dopo lo scandalo.

Va detto che l’esempio arriva dall’alto. I Panama Papers hanno beccato il capo di gabinetto del primo ministro, Keith Schembri, e il ministro dell’energia Konrad Mizzi, che ha creato un trust in Nuova Zelanda detenuto da una società panamense, subito dopo la vittoria elettorale del suo partito nel 2015. Nessuno dei due ha dato le dimissioni.

Fuori questione indebolire il settore finanziario, che ha un peso di 10.000 impiegati e permette di raccogliere 257 milioni di imposte all’anno sulle società offsore detenute da stranieri. In occasione della visita dei deputati europei del comitato PANA un deputato laburista ha spiegato senza mezzi termini che l’arma fiscale era la sola leva possibile per dopare l’economia di questa piccola isola di 430 mila abitanti, priva di industria e risorse naturali.

C’è consenso sull’argomento tra cristiano-democratici e socialdemocratici che si alternano alla guida del paese. La maggior parte dei deputati lo solo solo part-time e molti di loro lavorano parallelamente nel campo della finanza o come avvocati. Non hanno alcun interesse a cambiare il sistema.

E attenzione ai guastafeste. Per realizzare la sua inchiesta che rivela che lo Stato rimborsa due miliardi di imposte sulle aziende all’anno, Malta today ha dovuto far valere la legge sulla libertà di informazione per ottenere i dati grezzi dal ministero delle finanze. Ma la richiesta del giornale è stata trasmessa di nascosto alla lobby dei servizi finanziari. Nell’occasione, un dirigente di PricewaterhouseCoopers e un ex socio di Deloitte hanno contattato Malta Today per chiedere al giornale di non pubblicare l’informazione, usando come pretesto che questo minerebbe gli sforzi di Malta per contenere la pressione della Commissione europea in materia di riforma fiscale.

Dopo le pressioni esercitate attraverso l’OCSE da parte degli Stati Uniti e di numerosi grandi paesi europei, qualche avanzamento si è tuttavia ottenuto. Malta rispetta gli standard dell’OCSE sulla frode fiscale e il riciclaggio. Lo sconto sulle imposte sulle aziende sarà rimpiazzato nel 20121 da un sistema un po’ meno grossolano. Come tutti i paesi della UE, Malta dovrà adottare da qui al 2019 tutta una serie di direttive fiscali. L’isola deve avviare anche quest’anno lo scambio automatico di informazioni fiscali. Ma c’è ancora molto lavoro. L’anno scorso il fisco maltese ha inviato solo tre segnalazioni ad altri paesi europei! «Per mancanza di mezzi» hanno spiegato le autorità alla delegazione di eurodeputati in visita.

Non sorprende che la presidenza di turno maltese della UE non abbia portato frutti in materia di lotta contro l’evasione fiscale. In particolare per quanto riguarda il progetto ACCIS, spinto dalla commissione, che permetterebbe di tassare le multinazionali in funzione del loro livello di attività reale in ciascun paese. Ma Malta non ne vuole sentire parlare.

Come gli altri paradisi fiscali europei, come il Lussemburgo, i Paesi Bassi e l’Irlanda, Malta continua a trovare dei trucchi per aggirare o ritardare le riforme. Dopo una riunione inutile a Bruxelles dell’alto comitato europeo sulla fiscalità, un negoziatore tedesco ha inviato questo messaggio stizzito a Berlino: «È impressionante constatare a che punto questi Stati si presentano pubblicamente come dei partigiani del processo dell’OCSE, quando invece si comportano molto diversamente a poste chiuse, protetti dalla riservatezza delle negoziazioni europee».

L’alleanza informale dei paradisi fiscali europei funziona allo stesso modo durante le riunioni dei ministri delle finanze: ora un paese minaccia di porre il suo veto, ora l’altro. Un metodo molto efficace, dato che le riforme fiscali richiedono l’unanimità dei Ventisette.
Qualche settimana fa la presidenza maltese era incaricata di organizzare le discussioni sui criteri che caratterizzano i paradisi fiscali esterni alla UE, ai quali gli europei vogliono imporre sanzioni. Una maggioranza di Stati ha chiesto che i paesi con un tasso d’imposta zero facessero parte della lista. Ma l’unione dei paradisi fiscali europei ha respinto la proposta, anche se non ne sono direttamente toccati, in nome del principio di «sovranità fiscale delle nazioni».

Un altro dossier scottante è stato esaminato durante la presidenza maltese: l’aggiornamento della direttiva contro il riciclaggio. La Commissione europea ha suggerito che i beneficiari economici delle società “cassette postali” e dei trust siano identificati in un registro pubblico. La proposta è stata rifiutata, su spinta di Malta.

Fonte: Mediapart