Questo articolo è stato pubblicato oltre 6 anni fa e potrebbe contenere dati o informazioni relative a fonti/reference dell'epoca, che nel corso degli anni potrebbero essere state riviste/corrette/aggiornate.

#bassafinanza 21: Il carbone è morto. Il funerale lo organizza la #bassafinanza

A volte anche in questa rubrica in cui si parla di squali, falchi, iene e altri predatori assortiti della finanza c’è spazio per qualche buona ...

Il rapporto di una Ong denuncia gli asset nel settore del carbone ancora gestiti dal fondo americano BlackRock, nonostante gli impegni annunciati sul clima © hapabapa/iStockPhoto

A volte anche in questa rubrica in cui si parla di squali, falchi, iene e altri predatori assortiti della finanza c’è spazio per qualche buona notizia. Oggi ne è arrivata una da prima pagina, una breaking news come quelle che scorrono nel sottopancia della televisione mentre stiamo guardando la finale di coppa.
BlackRock, la società di investimenti più grande del mondo, ha detto che «il carbone è morto» e che continuerà a incrementare i propri investimenti nelle energie rinnovabili, ormai diventate «molto convenienti e competitive con tutte le altre fonti energetiche». BlackRock investe circa 4,81 mila miliardi di euro (tre volte il PIL dell’Italia) in azioni, obbligazioni e immobili per conto di migliaia di clienti in tutto il mondo.
Immaginare i fondi di BlackRock senza titoli di imprese che estraggono e vendono carbone è come pensare a un’intera collezione di Playboy senza donne nude o alla Roma senza Totti. Cose che ci sembravano impossibili fino a pochi anni fa iniziano invece a realizzarsi. Il pupone ha dato l’addio alla maggica domenica scorsa, per raggiunti limiti d’età, mentre la mia ultima incursione in edicola ha confermato che Playboy ha sempre più contenuti editoriali di un certo livello e sempre meno tette.
Avanti di questo passo e un giorno avremo grandi banche che si rifiuteranno di finanziare la produzione di armi e daranno crediti solo a progetti di utilità sociale. A quel punto ci toccherà chiudere questa rubrica e chi s’è visto s’è visto. A quel punto la nostra stessa utilità sociale di Savonarola della finanza sarà messa in seria discussione. In effetti, come cantava uno storico gruppo punk-rock italiano ingiustamente sottovalutato, «nel 2100 lo sai non ci saranno più guai. E noi saremo uniti come non è stato mai».

Nel frattempo però continuate a seguirci. Vi faremo sapere noi, con largo anticipo, se questa rubrica sarà destinata a chiudere “per raggiunti scopi sociali” o per la restituzione delle nostre mani veloci e affusolate al giardinaggio.



Non solo il carbone. Ora pare che BlackRock e un altro grande investitore come Vanguard, vogliano attaccare la famigerata società petrolifera Exxon, i cui titoli, come il prezzemolo, stanno veramente in tutti i fondi di investimento del mondo. Le due società di gestione, tra le più grandi al mondo, starebbero infatti valutando la possibilità di “una presa di posizione pubblica contro il colosso energetico durante l’assemblea annuale degli azionisti del 31 maggio”, scrive Vitaliano D’Angerio sul Sole 24 Ore. L’obiettivo è quello di mettere sotto pressione il gigante petrolifero per i rischi collegati ai cambiamenti climatici chiedendo di condurre degli «stress test» per verificare le conseguenze, sul valore degli asset, provocate dalla regolamentazione per ridurre i gas serra e dalle nuove tecnologie energetiche.
 


E per due giganti della finanza che, a livello globale, fanno esercizi di responsabilità sociale e ambientale, c’è un nano nostrano che continua invece imperterrito sulla strada degli investimenti irresponsabili. Si tratta della Banca Valsabbina, con filiali in provincia di Brescia e di Verona. In base all’ultima relazione prevista dalla legge 185/90, la Banca Valsabbina risulta al terzo posto in Italia per il finanziamento all’esportazione di armamenti con transazioni per 262 milioni di euro. Ai primi due posti due giganti: Unicredit, che complessivamente ha gestito operazioni per 1,2 miliardi di euro e la nostra amata Deutsche Bank con 797 milioni di euro.
La lista aggiornata delle “banche armate” si può consultare qui.
 


Da sempre #bassafinanza si interessa ai nuovi trend negli investimenti in commodities, i prodotti di base che si scambiano nei mercati internazionali e fanno spesso da sottostante a strumenti finanziari derivati. Per questo abbiamo subito drizzato le antenne quando abbiamo letto il titolo di questo articolo di Business Insider: «nel 2016 la marijuana legale ha venduto più del Viagra e della Tequila». Non si tratta propriamente di commodities, per carità, una commodity è un bene fungibile, cioè un prodotto che rimane lo stesso indipendentemente da chi lo produce (cosa che non si può dire per la marijuana o la tequila), però siamo di fronte a dati estremamente interessanti: il 2016 è stato un anno d’oro per la maria, grazie alla legalizzazione della droga in sette Stati USA. Le vendite hanno generato ricavi tra i 4 e i 4,5 miliardi di dollari. E cosa c’è di meglio di un bel cannone per seguire in pieno relax l’ultima puntata di #bassafinanza?
 


In una delle ultime puntate abbiamo parlato delle innumerevoli bolle che sarebbero pronte a scoppiare, si spera non tutte insieme, nei mercati finanziari. Nel frattempo, uno sconosciuto investitore si sta assicurando a modo suo contro il crollo dei mercati. Si tratta di un «misterioso acquirente di coperture assicurative da milioni di dollari contro l’eventualità di un tracollo del sistema finanziario», come scrive Il Sole 24 Ore, che traduce per l’occasione un articolo del Financial Times. L’investitore mascherato prende regolarmente d’assalto un angolo semisconosciuto del mercato dei derivati e compra contratti quotati a mezzo dollaro. Per questo è stato soprannominato «50 Cent», come il rapper americano. Gli analisti dicono che la strategia di copertura è «un esempio accorto di gestione del rischio, ma potrebbe rivelarsi costosa se la volatilità dovesse rimanere contenuta». «50 Cent» intanto non molla. E alla fine potrebbe avere ragione.
 


Abbiamo tanto abbaiato contro Deutsche Bank e ora finalmente abbiamo ottenuto quello che volevamo: la banca tedesca è passata nelle mani dei comunisti. Ai primi di maggio l’HNA Group Co., un colosso cinese che fa un po’ di tutto, dall’aviazione agli hotel, ha aumentato la sua quota di partecipazione in Deutsche Bank fino a raggiungere quasi il 10%. Il gruppo cinese è ora il primo azionista della più grande banca tedesca. A seguire BlackRock, con il 5,9% e l’immancabile fondo del Qatar (10% circa), che controlla anche il 17% delle azioni di Volkswagen.