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#bassafinanza 23: i mostri sono tornati

La settimana scorsa ho chiamato Sven Giegold, parlamentare tedesco dei Verdi a Bruxelles, vero Savonarola della finanza internazionale. Visto che l’intervista sarà pubblicata nel ...

La settimana scorsa ho chiamato Sven Giegold, parlamentare tedesco dei Verdi a Bruxelles, vero Savonarola della finanza internazionale. Visto che l’intervista sarà pubblicata nel prossimo numero di Valori, non sto a dilungarmi. Però una cosa ve la racconto, anche due in realtà. Beh, prima di tutto mi ha detto che alcune riforme dei mercati finanziari stanno funzionando. Per esempio le banche hanno oggi più capitale proprio e possono far fronte con proprie risorse ad eventuali nuove crisi, senza per forza chiamare in causa gli Stati e quindi noi cittadini pagatori di tasse. Mi sembra una buona notizia. C’è anche un’altra riforma che sta funzionando: quella per la compensazione (clearing) dei derivati. Prima della crisi i derivati OTC (over the counter), acquistati e venduti al di fuori dei mercati regolamentati, non avevano l’obbligo di regolare le transazioni tramite una “cassa di compensazione” (clearing house). Con il regolamento EMIR del 2012 questo obbligo è stato introdotto e oggi un numero crescente di scambi di derivati OTC è compensato da una clearing house: un organo terzo tra il venditore e l’acquirente che, dietro compenso, si assume il rischio che una delle parti coinvolte nei contratti vada in insolvenza. Mentre prima non c’era nessuna rete di salvataggio e se una delle parti saltava in aria i cocci erano suoi e di tutti noi.
Fantastico. Dopo dieci minuti al telefono stavo per scendere in cantina a prendere una bottiglia buona per brindare alle riforme, quando Sven, senza avvisarmi, ha girato il miscelatore della doccia verso il blu e ho cominciato sentire sulla schiena la carezza tonificante di un ruscello dolomitico. «A dieci anni dallo scoppio della crisi, i mostri sono tornati», mi dice. «I mostri? Quali mostri?», gli chiedo io. «Amico mio, le lobby bancarie, che ti credevi? Stanno tentando in tutti i modi di far abbassare i requisiti di capitalizzazione delle banche. Purtroppo molti colleghi del parlamento europeo hanno la memoria corta e li stanno ascoltando». Che fare quindi? Ieri, mentre spazzolavo la salsa del currywurst con le patatine fritte ci ho pensato intensamente. E se ognuno di noi adottasse un parlamentare europeo e gli scrivesse per metterlo in guardia dai mostri? Magari potremmo iniziare inviando degli identikit per riconoscerli meglio. In dieci anni hanno sicuramente cambiato il loro look. Quello che vogliono, però, è sempre lo stesso.
La colonna sonora di questa puntata non poteva essere che questa:



All’inizio dell’estate le organizzazioni Rainforest Action Network, BankTrack, Sierra Club e Oil Change International hanno pubblicato il rapporto “Banking on Climate Change 2017”, che spiega quanto le banche a livello internazionale stiano investendo nei combustibili fossili, contribuendo quindi ad innalzare la temperatura del pianeta e a cambiare rovinosamente il clima. Anche se gli investimenti sono calati del 22% rispetto al 2016, il totale investito è ancora troppo alto: 290 miliardi di dollari. Se gli investimenti non scenderanno sensibilmente, avoja di riuscire a stare sotto all’aumento di 1,5 °C, come prescriverebbe l’accordo di Parigi. E quali sono le banche più cattive a questo proposito? Al primo posto c’è la Bank of China, al secondo la China Construction Bank, al terzo il gigante di Wall Street JPMorgan Chase. E Deutsche Bank? È decima! Sì, ma le banche italiane? Non vi preoccupate: sono splendidamente rappresentate da Unicredit, al 30° posto. E da BNP Paribas (che è francese ma ha assorbito la BNL) al 15° posto. Qui trovate la classifica completa.
 


Alla fine di agosto, mentre molti di noi stavano programmando il controesodo e la partenza intelligente, i vertici della Banca Popolare di Bari sono stati indagati. Le accuse vanno dall’associazione per delinquere all’ostacolo all’attività di vigilanza di Bankitalia e Consob, dal falso nel prospetto informativo ai maltrattamenti e all’estorsione. Ad indagare è la Procura della Repubblica di Bari. Nel mirino del procuratore aggiunto Roberto Rossi sono finiti fatti avvenuti tra il 2013 e il 2016, quando l’istituto di credito ha acquisito la Cassa di risparmio di Teramo. Tra gli indagati, l’allora direttore generale Vincenzo De Bustis, ex amministratore delegato di Mps e Deutsche Bank Italia. La Banca Popolare di Bari conta 70.000 soci-azionisti e ha in circolazione 160,2 milioni di azioni circa per una capitalizzazione teorica, al prezzo di 6,60 euro, di 1,057 miliardi. In seguito all’inchiesta, i soci della banca avrebbero ora seri problemi a vendere le azioni.
 


Giampaolo Scardone, da due anni direttore generale della Carim (Cassa di Risparmio di Rimini), nel 2016 ha guadagnato 505mila, più del presidente della Bce Mario Draghi, del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il doppio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ha fatto l’ispettore alla Banca d’Italia per 35 anni fino all’1 luglio 2013, quando è stato assunto a Rimini. Ha svolto in carriera una cinquantina di ispezioni, ma sono le ultime due – scrive Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano – a valere il prezzo del biglietto. Dal 27 settembre 2011 al 9 marzo 2012, ha guidato l’ispezione Bankitalia sulla liquidità del Monte dei Paschi di Siena. Il 28 maggio 2012 ha intrapreso l’ispezione della Banca Popolare di Vicenza, e ha studiato le gesta del presidente Gianni Zonin. In nessuno dei due casi, però, si è accorto delle gravi anomalie che avrebbero poi affossato le due banche, perché “ostacolato dagli ispezionati”. Ora guida la Carim, commissariata dal 2010. Una banca che, nonostante il commissariamento, continua a perdere pezzi per strada: il patrimonio netto è sceso del 60% dal 2010 e le sofferenze lorde sono oggi pari al 20% degli impieghi.
 


Una lettera di Bankitalia a Consob datata 30 ottobre 2013 segnalava all’autorità di controllo dei mercati le criticità di Banca Etruria. Con un focus sulle obbligazioni subordinate vendute alla clientela con rendimenti che non riflettevano le reali condizioni dell’istituto. Quello stesso giorno Etruria colloca il suo ultimo bond subordinato: 50 milioni di euro venduti «allo sportello», per oltre il 99% finiti a piccoli risparmiatori e famiglie. C’è stato quindi un «corto circuito comunicativo» tra Consob, che avrebbe potuto e dovuto fermare il collocamento e Bankitalia. Sul presunto «corto circuito» cerca ora di fare luce la procura di Arezzo. Anche perché la Consob ha sempre dichiarato di aver avuto piena contezza della situazione di Etruria solo il 12 maggio del 2016, quando i liquidatori della «vecchia» Banca Etruria hanno inoltrato all’Autorità le carte di Bankitalia.
 


«Se vincerà Trump le borse crolleranno», si diceva. Ma quando mai. Con l’arrivo di Trump, come si vede nel grafico del Financial Times, in corrispondenza della freccia “US election”, le azioni non hanno fatto che salire. E ora hanno toccato il punto massimo degli ultimi dieci anni. Il motivo? I grandi fondi stanno vendendo i titoli delle imprese tecnologiche per comprare le azioni delle banche, fino a ieri i titoli più scansati dagli investitori, che manco avessero la lebbra. E perché tutti si buttano di nuovo a pesce sulle banche? Perché, cari miei, le speranze per una futura deregolamentazione del settore si fanno sempre più concrete. Che vi avevamo detto? I mostri sono tornati!